L’opera prende spunto dal romanzo 2666 di Roberto Bolaño.
Le pagine che fanno da sfondo provengono da uno dei cinque libri che lo compongono, “La parte dei crimini”: un interminabile elenco di femminicidi avvenuti nella zona di Santa Teresa, località fittizia dietro la quale si nasconde Ciudad Juárez, nel nord del Messico, al confine con gli Stati Uniti.

Nella parte superiore della clessidra si vede una donna che sta affogando nella sabbia, a simboleggiare l’inesorabile scorrere del tempo, scandito in continuazione, in ogni parte del mondo, da casi di donne che subiscono violenza, ma anche le sabbie del deserto di Chihuahua, nelle quali sono stati ritrovati nel corso degli anni, i cadaveri di centinaia di donne.
Questo destino, che purtroppo sembra quasi essere ineluttabile, trova il suo tragico finale nella parte bassa della clessidra, dove, sulla sabbia, si vede un cimitero di croci rosa, le stesse che si possono trovare a Ciudad Juárez sulle tombe delle vittime di femminicidio.

La clessidra rappresenta il meccanismo di connivenza tra le autorità locali, la polizia, il potere economico e criminale dei cartelli della droga e la cultura machista che permette che migliaia di donne in quella parte di mondo, ma non solo, abbiano perso la vita senza che ne venga trovato, il più delle volte, l’assassino.

Questo meccanismo deve essere rotto. Proprio per questo nel quadro c’è una donna, il cui volto è coperto da un passamontagna rosa, capo utilizzato dalle componenti di alcuni collettivi femministi che agiscono in Messico, con un martello sollevato sopra la testa, nell’atto di distruggere la clessidra e tutto ciò che rappresenta.
La donna indossa delle scarpe rosse, a ricordare l’installazione “Zapatos Rojos” creata nel 2009 dall’artista messicana Elina Chauvet. Questo progetto di arte urbana, diventato un vero e proprio simbolo a livello mondiale, è composto da centinaia di paia di scarpe rosse da donna e punta il dito contro l’omertà che avvolge la scomparsa e l’uccisione di migliaia di donne a Ciudad Juárez.